Intorno alle due di mattina (ora italiana) Israele unilateralmente interrompe il cessate il fuoco e bombarda Gaza. Secondo Quds News Network le zone bombardate sono tra il Centro e il Sud di Gaza, tra le quali Khan Yunis, Deir Al-Balah e Rafah. Si registrano numerosi morti civili, tra cui molti bambini. Fonti locali riportano oltre 300 vittime nelle prime tre ore. Si registrano le morti di esponenti politici di Hamas.
Secondo Israele, il motivo della ripresa degli scontri è il mancato accordo sull’implementazione della seconda fase del cessate il fuoco del 19 gennaio con Hamas che si è rifiutato di rilasciare gli ostaggi. Vano dunque, per il raggiungimento di un accordo stabile, l’invio, da parte degli Stati Uniti, di Steven Witkoff.
Il cessate il fuoco, sin dal 19 gennaio, è risultato unilateralmente valido solo per Gaza, visto l’arresto israeliano di massa durante i raid in Cisgiordania, l’interruzione dei convogli umanitari e il completo blocco del carburante (quindi dell’approvvigionamento energetico). Oltre che ai bombardamenti e alle uccisioni perpetrate nonostante l’accordo e il nuovo pacchetto di aiuti militari ricevuto dagli USA di 4MLD il primo di marzo.
Hamas vuole che Israele si impegni per la seconda fase dell’accordo: si ritiri da Gaza liberando gli ostaggi. Israele, al contrario, vuole prorogare la prima fase e riavere tutti gli ostaggi, con il fine di non lasciare militarmente Gaza e prendere tempo.
La situazione
La questione è molto complessa e non concerne solo lo scambio degli ostaggi. In un quadro più ampio, devono essere tenuti in considerazione i precari equilibri di influenza nell’area e i molteplici interessi egemonici commerciali e militari dei vari attori.
Negli ultimi due giorni gli USA hanno bombardato la capitale dello Yemen Sana’a in risposta al blocco navale degli Houthi nel Mar Rosso. I bombardamenti hanno causato morti civili, tra i quali molti bambini. Secondo il Dipartimento della Difesa statunitense sono stati colpiti 30 obiettivi militari. Trump il 17 marzo ha ribadito che ogni attacco da parte degli Houthi contro navi militari o commerciali sarà considerato un attacco diretto dell’Iran alla sicurezza dei cittadini statunitensi.
Negli stessi giorni si sono verificati scontri lungo il confine tra il Libano e la Siria, che ha visto confrontarsi l’esercito libanese (e gruppi di Hezbollah) e i gruppi di HTS. La Siria, infatti, è cruciale nel confronto USA-Israele-Turchia-Russia-Iran. Soprattutto il ruolo del Governo ad interim siriano favorisce gli interessi israeliani da una parte e penalizza quelli iraniani dall’altra, puntando a bloccare i rifornimenti per Hezbollah e Hamas che dall’Iran passano per l’Iraq e la Siria. Inoltre, fondamentale sarebbe il passaggio dei gasdotti e degli oleodotti sia da Israele che dall’Arabia verso la Turchia, e per questo serve una sicurezza militare che non si opponga al piano occidentale e che non favorisca le risorse iraniane.
Il comune denominatore è l’Iran. Oggetto di più sanzioni, l’amministrazione statunitense ha l’obiettivo di bloccare l’economia iraniana. Al centro di questa scelta il tema del programma nucleare iraniano, che scardinerebbe il predominio della deterrenza nucleare di Israele, e i rapporti che l’Iran sta tessendo con la Cina e che nel 2026 vedrà inimmaginabili investimenti cinesi in cambio di petrolio, rafforzando entrambe le potenze.
A sostegno di questa tesi ci sono i due incontri con oggetto il programma nucleare iraniano. Il primo incontro durante la seconda settimana di marzo organizzato a porte chiuse tra soli 6 paesi su 15 appartenenti al Consiglio di Sicurezza ONU (tra cui Stati Uniti, Francia, Grecia, Panama, UK e Sud Corea). Ovviamente l’Iran non ha gradito e lo ha definito come un uso sbagliato di un organo internazionale come il Consiglio di Sicurezza. Il secondo incontro il 14 marzo a Pechino tra Cina, Russia e Iran: nel quale queste potenze hanno riaffermato la necessità da parte degli Stati Uniti di riprendere il dialogo per lo sviluppo del programma nucleare iraniano.
Gli interessi della UE nell’area
Oltre agli interessi egemonici statunitensi nella regione, anche l’Unione Europea ha ingenti interessi in gioco. Uno fra tutti l’approvvigionamento energetico, soprattutto ora che è stato realizzato il piano decennale statunitense di staccare energeticamente la Russia dall’Europa. In Africa l’UE, a causa delle politiche di stampo colonialiste e neocolonialiste, sta perdendo sempre più alleanze strategiche non solo dal punto di vista energetico, sicuramente anche a causa, negli anni, di un esponenziale investimento russo e cinese in infrastrutture e servizi nei paesi africani con condizioni di investimento alla pari.
A sostegno del fatto che l’Europa ha molto interesse nell’area e che è disposta a tutto per ottenere contratti energetici convenienti, lo si deduce dal sostegno senza indugio ad Israele, uno tra tutti il giacimento Leviathan (di diritto di proprietà per la maggior parte della Palestina), durante il genocidio dei palestinesi e il sostegno (notizia del 17 marzo) con 2.5MLD di euro al governo siriano per la transizione politica e la stabilità del paese. Governo che ricordiamo essere composto da bande tutt’ora considerate terroristiche dall’ONU derivanti da Al Qaeda e ISIS (il presidente attuale fu il fondatore di Jabhat al Nusra, il ramo di Al Qaeda in Siria), macchiatosi appena una settimana fa di aver condotto una operazione di uccisioni di massa di civili sulla costa siriana, colpendo principalmente la comunità alawita e cristiana.
La situazione è molto complessa e delicata. Il resoconto non vuole essere un’analisi esaustiva ma solo una rassegna dei principali temi trattati dalla politica internazionale e un incentivo a non fermarsi solo alle affermazioni dei politici, ma di apprezzare la complessità e i vari punti di vista dei diversi paesi. In un contesto così complesso e delicato, certamente il riarmo e il rischio di escalation non è una scelta strategica che può soddisfare i nostri bisogni e valorizzare le opportunità. Al contrario bisogna instaurare un clima di dialogo e di fiducia reciproca, basate sui rapporti diplomatici, commerciali e di ricerca.
Foto di Mohammed Ibrahim