Negli ultimi giorni è riemersa timidamente la Questione Africana su qualche trafiletto di giornale riguardo il golpe in Niger. Come mai oggi è fondamentale partire dal Niger per comprendere quello che sta accadendo in Africa, e perché ha mobilitato l’interesse dell’intero contesto geopolitico globale?
Fino a prima della presa di potere da parte dell’esercito nigerino, il Niger faceva parte dell’ECOWAS (Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale) una coalizione di paesi africani nata nel ’75 e legata alla zona Franco CFA.
Negli ultimi anni altri paesi facenti parti dell’ECOWAS sono stati attori di rovesciamenti di governo quali Mali, Guinea e Burkina Faso con successiva espulsione dalla coalizione; l’elemento che accomuna i golpisti saliti al potere è la viva critica ai governi ‘democratici’ rovesciati, asserviti ai paesi che da sempre sfruttano le risorse africane, reclamando il diritto ad una totale indipendenza, partendo da quella monetaria.
I paesi che si trovano nella regione del Sahel affrontano da anni numerose sfide partendo dalla crisi economica e alimentare, agli scontri sociali e ai continui attacchi da parte dei gruppi jihadisti alle forze militari.
Da decenni questi paesi devono coesistere da un lato con il risentimento nei confronti delle forze militari di paesi stranieri sul loro territorio, e dall’altro con la consapevolezza che le loro forze singolarmente non riuscirebbero a contrastare l’avanzata dei gruppi armati jihadisti.
È per questo che, nonostante sia necessario terminare la neo-colonizzazione occidentale e garantire il diritto ad esercitare proprie politiche economiche e sociali, è altresì necessario adottare un approccio diplomatico che tenga conto delle priorità che questi paesi hanno.
L’intervento militare annunciato dall’ECOWAS, con l’appoggio francese e statunitense, sarebbe un grande errore che queste regioni non possono permettersi.
Ricordando che ogni intervento militare effettuato per ristabilire ‘l’ordine’, ha portato solo ad un peggioramento delle condizioni sociali e politiche (vedi Mali, Libia, Iraq, Siria, Afghanistan e molti altri).
Gli interessi che girano intorno all’Africa sono numerosi, e molti sono i paesi che stanno osservando con preoccupazione i rovesciamenti di governo, tra cui la Francia. Infatti, dietro si cela un vero e proprio scontro geopolitico su campo africano delle grandi potenze: Stati Uniti, Francia, Russia e Cina.
Negli ultimi anni sono aumentati esponenzialmente gli investimenti russi e cinesi nei paesi africani, destabilizzando l’egemonia dei paesi occidentali che da sempre operano per garantire i propri interessi. L’entrata del Sud Africa nel BRICS vede l’uscita dalla fase embrionale di una realtà anti-dollaro che non si può più ignorare, e che sarà oggetto del nuovo equilibrio economico mondiale: la de-dollarizzazione.
È per questo che l’intervento militare non solo non risulterà risolutivo, ma acuirà le tensioni già esistenti tra le nazioni e come sempre vedrà colpiti solo le popolazioni martiriate dalla guerra.
La realtà è che l’esportazione e l’imposizione di valori, sistemi economici e politici non ha mai neanche scalfito la superfice dei problemi e che dunque il riconoscimento effettivo dell’indipendenza sarebbe l’unica soluzione che porterebbe stabilità.
L’effettiva indipendenza porta con sé un sistema politico-economico autoctono, un sistema di produzione autonomo, e un investimento sociale mirato alle loro necessità.
Invece che autoproclamarsi guardiani del sistema democratico, incapaci tra l’altro di assicurarlo nei nostri Paesi, e continuare a regolare le dinamiche politiche ed economiche del continente africano, dovremmo, sempre con umiltà, facilitare uno sviluppo politico-economico stabilendo rapporti alla pari nei mercati internazionali e insistendo per uno sviluppo che rispetti gli interessi sociali e ambientali sanciti dai principi fondamentali dell’ONU.