Mentre la strage di civili continua, l’Onu si trova in crisi.
Il conflitto mediorientale si intensifica ogni giorno di più. I dati riportano oltre 10mila morti dall’inizio del conflitto (UNRWA – rapporto #15). Millequattrocento sono israeliani, oltre seimilacinquecento palestinesi, di cui oltre duemilasettecento bambini. Dati approssimativi in quanto tra feriti e dispersi, rispettivamente 17mila e milleseicento, la stima dei morti aumenterà inesorabilmente. In particolare, se l’accesso ad acqua potabile, carburante per gli ospedali, medicinali e cibo continua ad essere negato, assisteremo ad un’ecatombe.
Purtroppo, i discorsi di Guterres, nonostante siano veritieri e molto significativi, non ottengono un cessate il fuoco né un tavolo di pace. Le Nazioni Unite sono divise e dunque non si arriverà, almeno in breve, ad una risoluzione internazionale che miri alla salvaguardia dei civili nella Striscia di Gaza.
Il 21 ottobre venti camion carichi di beni di prima necessità hanno oltrepassato il valico di Rafah, che dall’Egitto porta direttamente Gaza. Il governo palestinese però ha annunciato che ne servirebbero almeno duemila per garantire la sopravvivenza a due milioni di cittadini.
Oltre 470mila persone sono rifugiate negli accampamenti dell’UNRWA, secondo cui l’assistenza fornita è inadeguata e non riesce a far fronte alle innumerevoli necessità. Dall’inizio del conflitto 39 operatori Onu sono morti nei bombardamenti a Gaza e oltre 40 delle loro strutture sono state attaccate.
Più di 629mila gli IDPs (Internal displaced people), che migrano da nord verso sud per scappare dalle bombe.
La politica di Israele punta alla distruzione totale di Hamas.
Continua però anche la sostituzione etnica iniziata nel ’67 e l’occupazione dei territori palestinesi. Questo è confermato dalle violenze riportate nel West Bank dall’inizio della guerra, dove ufficialmente non c’è Hamas (più di cento persone uccise,1900 i feriti) e dove i movimenti dei residenti palestinesi sono maggiormente limitati. Come riporta il già citato XV rapporto dell’UNRWA, un ragazzo di sedici anni è stato ucciso ieri mattina durante un’operazione di polizia nel campo profughi di Kalandia, a nord di Gerusalemme. Israele ha ribadito più volte che la sua è una guerra per la democrazia e che vuole sradicare il terrorismo. Il ministro degli esteri israeliano Eli Cohen, al Consiglio di Sicurezza dell’ONU tenutosi il 24 ottobre, ha sostenuto che la libertà del popolo di Israele è la libertà di tutto il mondo e che la vittoria su Hamas rappresenta la vittoria della democrazia. Secondo Cohen non c’è alcuna possibilità di confronto con Hamas e la guerra finirà solo quando Hamas sarà debellata.
Una narrazione nota e condivisa dagli Stati Uniti, che da sempre supportano sia politicamente che economicamente Israele, ponendo recentemente il veto a più risoluzioni dell’Onu in favore degli aiuti umanitari e ad un cessate il fuoco. Uno scontro di interessi che evidentemente va oltre i bambini morti e gli ospedali bombardati. Un equilibrio geopolitico da mantenere anche a discapito del Diritto internazionale e di tutte le convenzioni sulle guerre e sui civili. A Gaza a morire però sono gli innocenti, e l’azione militare israeliana sembra non fermarsi.
Dall’inizio del conflitto non si è mai parlato di pace o di diplomazia. La chiusura al confronto è totale, e ciò non solo ritarderà l’arrivo di un cessate il fuoco ma creerà l’ennesimo precedente sull’inefficienza delle organizzazioni internazionali quali garanti dei diritti di popoli e individui.
L’attacco di Hamas del 7 ottobre ai danni di Israele è da condannare fermamente. Le atrocità che il gruppo palestinese ha perpetrato nei confronti di bambini, donne e uomini israeliani sono inumane.
Ma, in nome della difesa della propria Nazione, Israele sta commettendo un crimine di guerra che non può rimanere impunito. I civili e gli ospedali non sono degli obiettivi; la fame e la sofferenza dei civili non sono una strategia di guerra e il mondo non può rimanere a guardare senza fare niente. La ricerca della causa dell’attacco di Hamas porta ad un’analisi della storia della Palestina e del suo popolo. Di 50 anni di apartheid e di risoluzioni ONU ignorate, che pure condannano le azioni di Israele. Hamas non sono i palestinesi come Netanyahu non sono gli israeliani. Politiche sbagliate da entrambi gli schieramenti che hanno portato oggi a questa situazione.
Foto di Ali Jadallah per Anadolu Ajansi