Silvana De Vidovich, Limes Online | 5 marzo 1996 (aggiornato 2 marzo 2022)
Una sintetica antologia del dibattito sull’idea di Russia e sul suo destino fra alcuni dei maggiori autori della letteratura dell’Ottocento: da Danilevskij a Leont’ev, da Dostoevskij a Solov’ëv, da Puškin a Tolstoj.
Nikolaj J. DANILEVSKIJ (1822-1885)
Rappresentante del pensiero reazionario russo, anche se lontano dagli stereotipi della dottrina reazionaria ufficiale dell’epoca di Nicola I. Il suo pensiero si articola su modelli e categorie del tutto particolari. Fu un originale precursore di Spengler, fondatore della teoria dei «tipi storico-culturali» e della teoria del pluralismo storico. Assolutamente convinto che non esistesse nessuna unità nel processo storico mondiale, riteneva che ogni «tipo storico» creato da una nazione o da un gruppo di nazioni con radici comuni tra loro producesse una sua cultura irripetibile e che attraversasse tutte le fasi dello sviluppo biologico, dalla nascita alla morte. Non esiste, perciò, secondo lui, una storia e un processo dell’umanità che abbiano caratteristiche comuni.
Dimostrando che il tipo storico-culturale europeo si stava avvicinando alla sua fine, egli era convinto che toccasse agli slavi creare una nuova cultura, perciò, escludendo gli slavi dall’Europa, riconosceva il debito storico della Russia e degli slavi nella lotta contro l’Europa a favore di un’unificazione in un’Unione panslavista con capitale Costantinopoli, in nome di una cultura slava.
Le sue idee furono esposte nel volume Rossija i slavianstvo’ (La Russia e gli slavi), che apparve nel 1869.
L’ostilità tra Europa e Russia. Suo contenuto profondo
L’Europa non ci riconosce come suoi. Per l’Europa la Russia e gli slavi sono un qualcosa di estraneo e rappresentano anche un argomento non facile da trattare. (…) Per questo l’Europa vede nella Russia e negli slavi non solo un elemento di estraneità ma anche un principio ostile. (…) È un’affermazione a cui l’Europa, consapevolmente, non sarebbe in grado di dare una risposta imparziale. Le cause di questo fenomeno sono molto più profonde. (…) In varie sfere esiste sempre un dominante spirito d’ostilità che non cambia mai e che assume, di volta in volta, a seconda delle circostanze, la forma della diffidenza, della malignità, dell’odio o del disprezzo. Questo fenomeno riguarda ogni sfera della vita umana, da quella dei rapporti politici a quella del vivere quotidiano, ed è diffuso in tutti gli strati della società; inoltre, non avendo nessun fondamento concreto di fatto, può radicarsi soltanto nella comune e istintuale consapevolezza di un’ostilità di fondo che sta alla base nei compiti storici che ogni popolo deve affrontare.
Da Rossija i Evropa (Russia e Europa), cap. 3, pp. 52-53.
La Russia non appartiene all’Europa
La Russia appartiene all’Europa? Disgraziatamente o fortunatamente, purtroppo o meno male, no! La Russia non appartiene all’Europa. Non è stata nutrita da nessuna di quelle radici attraverso le quali l’Europa ha succhiato ogni linfa benefica e nociva che proveniva direttamente dalla matrice stessa che ha generato quel mondo antico da lei stessa distrutto, così come non è stata nutrita da quelle radici che le hanno dato nutrimento attraverso il profondo spirito tedesco. (…) Non ha niente a che fare né con il bene europeo né con il male. (…) La sua autentica modestia così come il suo autentico orgoglio impediscono alla Russia di considerarsi Europa.
Da Evropa li Rossija? (La Russia è Europa?), cap. 3, pp. 59-61.
I tipi storico-culturali
Le forme storiche della vita dell’umanità (…) non soltanto cambiano e si completano a seconda dell’età, ma si diversificano anche in base a dei tipi storico- culturali. Perciò, per parlare chiaro, soltanto all’interno di un unico tipo o come si suol dire, di un’unica civiltà, è possibile distinguere quelle forme del processo storico che vengono definite con i termini: storia antica, storia di mezzo e storia nuova. Questo è un tipo di divisione poco produttivo; la divisione fondamentale andrebbe fatta sulla base dei differenti tipi storico-culturali, cioè differenziando i diversi piani di autonomia e di originalità in campo religioso, scientifico, artistico, sociale, esistenziale, industriale, in altre parole differenziando i vari piani dello sviluppo storico. In realtà, data la grande influenza di Roma (…) potremmo forse dire che la storia dell’Europa rappresenta il progressivo sviluppo dei princìpi del mondo romano scomparso? A qualsiasi campo delle categorie summenzionate dei diversi fenomeni storici voi facciate riferimento, troverete ovunque princìpi diversi. (…) È sempre stato così e sarà sempre così.
Da Civilizacija evropejskaja toždestvenna li s obščečelovečeskogo? (La civiltà europea è simile a quella di tutta l’umanità?), cap. 4, pp. 88-90.
Konstantin N. LEONT’EV (1831-1891)
Si considerava un seguace di Danilevskij, anche se le sue teorie non furono condivise dagli ortodossi, rimanendo un pensatore originale ma completamente «isolato». Durissimo è il giudizio dei suoi contemporanei anche se N.A. Berdjaev lo considerava un precursore di Nietzsche. Reazionario, difensore del dispotismo, della schiavitù e della non uguaglianza, non si schierò tuttavia mai a favore di nessun interesse politico o sociale. Più che un politico fu un esteta e un romantico e si interessò ai problemi sociali partendo dalla sua personale visione estetica del mondo. Medico e naturalista credette di aver trovato le leggi di sviluppo di tutti gli organismi, compresi quelli sociali, leggi che, partendo da un’iniziale semplicità, raggiungevano una progressiva complessità, fino ad arrivare alla disgregazione finale.
La missione della Russia
La Russia non è semplicemente uno Stato. La Russia, presa nella sua totalità, in tutta la sua estensione asiatica, è un intero mondo con una vita tutta sua che non ha trovato ancora il suo modello di ordinamento culturale e statale.
Perciò non dobbiamo pensare alla Russia soltanto come a una confederazione tribale che ha tenuto lontano dall’Europa i turchi, che si è emancipata e culturalizzata, a caro prezzo, rispetto a tutti gli altri popoli slavi, ma dobbiamo pensare alla Russia come a un qualcosa di molto più vasto e idealmente molto più autonomo.
(…) Quando l’ordinamento sociale diviso in ceti viene distrutto da un processo di emancipazione, è impossibile che si possa creare sul vecchio terreno una nuova forte organizzazione composta soltanto di vecchi elementi. C’è bisogno di una svolta decisiva, c’è bisogno di un nuovo terreno, di nuove prospettive, bisogna inoltre, e questa è la cosa più importante, che ci sia un nuovo centro, una nuova capitale culturale.
(…) Il punto di svolta per noi russi deve consistere nel prendere la città-zar e metterci dentro le basi per un nuovo edificio culturale e statale.
Noi russi dobbiamo assolutamente abbandonare i binari europei e scegliere una strada completamente nuova – essere, finalmente, a capo della vita culturale e intellettuale dell’umanità.
Da Bizantinizm i Slavjanstvo (Il bizantinismo e gli Slavi), cap. 8, t. V, p. 441.
Fëdor M. DOSTOEVSKIJ (1821-1881)
L’attività di Dostoevskij pubblicista permette di rintracciare e individuare con molta chiarezza la sua posizione di rappresentante della corrente slavofila, di pensatore religioso e di profeta del «popolo portatore di Dio». Uno dei temi dominanti che affiora costantemente in tutta la sua attività di giornalista è il problema del socialismo che Dostoevskij esamina all’interno di un più vasto problema sociale che riguarda specificatamente la Russia.
E proprio in questa direzione Dostoevskij delinea una precisa missione di salvezza del popolo russo.
Non secondario è il problema dell’autoritarismo, che Dostoevskij affronta affermando l’idea di un’unificazione del mondo che nega l’uso della violenza. All’idea romana, fondata sulla coercizione, contrappone l’idea russa fondata sulla libertà dello spirito.
La questione di Costantinopoli
Prima o poi Costantinopoli deve essere nostra. Ma in nome di cosa, in nome di quale diritto morale la Russia dovrebbe cercare Costantinopoli? Quali sono i suoi punti di forza per cui dovrebbe pretenderla dall’Europa? Ecco perché: perché è a capo dell’ortodossia, ne è la protettrice e la garante; questo è un ruolo che le è stato assegnato fin dai tempi di Ivan III che pose nello stemma della Russia l’aquila bicipite, ed è un ruolo che ha acquisito ancora più significato dopo Pietro il Grande, quando la Russia si è riconosciuta la forza di svolgere il suo compito e di fatto è già diventata l’unica difesa dell’ortodossia e dei popoli di questa fede. Questa è la ragione, questo è il diritto su questa antica città regale e questo dovrebbe essere chiaro e non offensisvo anche per gli slavi più gelosi della propria autonomia e perfino per i greci. Questa dovrebbe essere la vera e unica centralità di tutti i rapporti politici che la Russia dovrebbe intraprendere immediatamente con tutte le nazioni ordodosse, non importa se greche o slave.
In questo senso la Russia diventerebbe la protettrice di queste nazioni, ne sarebbe il capo, ma non la padrona; sarebbe la loro madre ma non il signore. (…) Tanto che a questa unione potrebbero aderire, prima o poi, anche gli altri popoli slavi europei di fede non ortodossa.
L’Europa ci è cara quanto la Russia
Tutto questo nostro slavofilismo e occidentalismo non è nient’altro che un nostro grande malinteso, sia pur necessario da un punto di vista storico. A un vero russo, l’Europa e tutto il mondo ariano stanno a cuore quanto la Russia stessa e l’insieme di tutta la sua terra natale, perché noi rappresentiamo la pace universale, raggiunta non con la spada ma con la forza della fratellanza e tutti noi tendiamo a una unificazione di tutti i popoli. Provate a entrare dentro la nostra storia dopo le riforme di Pietro e troverete tracce e indicazioni di questo mio pensiero, ma le troverete anche nel nostro modo di relazionarci con gli altri popoli europei e le troverete perfino nella nostra politica di governo.
(…) Cosa ha fatto, in fin dei conti, realmente, la Russia in questi due secoli di politica? Non è stata forse al servizio dell’Europa più di quanto non lo sia stata di se stessa? Non penso che questo sia successo soltanto per insipienza dei nostri politici. Oh, popoli dell’Europa, e non sanno neppure quanto ci stanno a cuore!
(…) Di conseguenza, io credo in questo, cioè nel fatto che noi, a dire il vero non noi ma i russi che verranno dopo di noi, capiamo tutti senza eccezione che diventare dei veri russi significherà essenzialmente darsi da fare per appianare definitivamente le contraddizioni europee, indicare con la propria anima russa una via d’uscita all’angoscia europea, dimostrare che la nostra anima abbraccia l’intera umanità, unisce tutti in un fraterno abbraccio d’amore, e alla fine, forse, pronunciare una parola definitiva di grande e generale armonia, di definitiva alleanza fraterna di tutti i popoli secondo la legge evangelica di Cristo!
Da Inostrannye Sobytija (Avvenimenti stranieri), 1873, t. I, p. 470.
Vladimir S. SOLOV’ËV (1853-1900)
L’attività intellettuale di Solov’ëv, uno dei più noti e influenti pensatori del XIX secolo, superò lo stretto ambito della filosofia per abbracciare la poesia, la sfera sociale e quella religiosa. Secondo K.V. Mačulskij «Solov’ëv preparò la grande rinascita russa della fine del XIX e inizio XX secolo e fu l’antesignano di una rinnovata coscienza religiosa e filosofica». Base della sua filosofia è l’idea di una «umanità divina» (bogočelovečestvo) in cui il poeta-filosofo espone tutta la sua utopia sociale e cosmica.
Vicino inizialmente alle idee degli slavofili – vedeva nella Russia e negli slavi la «terza forza» che avrebbe aperto al mondo la «grande sintesi», la salvezza e la rinascita – successivamente, le abbandona bruscamente per abbracciare tesi opposte in nome di un’auspicata unificazione delle Chiese. In questa seconda fase della sua vita matura l’idea di una missione teocratica della Russia e si spinge a ipotizzare un’unione tra lo zar russo e il papato romano.
Negli ultimi anni della sua vita, convinto dell’imminente catastrofe dell’umanità, smise del tutto di credere nella missiome della Russia e si espresse molto polemicamente contro ogni forma di nazionalismo.
Esortazione al popolo russo
La questione nazionale in Russia non è soltanto un problema di esistenza ma di esistenza dignitosa.
Un uomo vive con dignità quando tutta la sua vita e le sue azioni seguono una legge morale e hanno un ben preciso obiettivo morale. La presenza di falsi e pericolosi pregiudizi rende impossibile trasferire nella vita di un popolo i massimi obiettivi della vita di ogni singolo individuo. Ma nella sua vera essenza la legge morale è per tutti ed è presente in tutto. (…) (…) Se il popolo cristiano può cedere accettando lo spirito dell’egoismo nazionale, questo stesso popolo può essere in grado di avviare anche un processo inverso di integrazione, per salvare l’umanità divisa. Data la sua posizione storica, dato il suo carattere nazionale e la sua concezione del mondo, la Russia dovrebbe prendere l’iniziativa per dar vita a questa nuova positiva riforma. Noi non siamo in grado di poter dire in anticipo se la Russia riuscirà ad adempiere questo suo dovere morale, non possiamo dire se esiste una qualche predestinazione in questo senso né nella vita individuale né in quella del popolo russo. Il destino degli uomini e delle nazioni, finché vivono, sta nella loro buona volontà. Noi sappiamo con certezza una sola cosa: se la Russia non assolverà il suo debito morale, se non prenderà le distanze dall’egoismo nazionalista, se non rifiuterà il diritto della forza e non crederà nella forza del diritto, se non si affiderà sinceramente e totalmente alla libertà spirituale e alla verità, non raggiungerà mai un vero e duraturo successo in nessun campo, sia nei suoi problemi interni e sia in quelli esterni.
Dall’introduzione alla II edizione di Nacional’nyj voprosv Rossii ( La questione nazionale in Russia ), 1888, t. V, p. 1.
L’essenza della storia russa – la rinuncia al nazionalismo
La riforma di Pietro il Grande è stata nella sua totalità una riforma originale proprio perché (…) ha significato un coraggioso rifiuto di tutte quelle tipologie nazionali che rendevano questo paese un paese particolare (…) perché ha spinto a prendere la decisione di entrare in una scuola di formazione completamente nuova, a superare l’amor proprio nazionale in nome del patrimonio nazionale, a rompere con il passato in nome del futuro.
Non è stato l’amor proprio nazionale ma l’autoconsapevolezza nazionale dei variaghi a fondare lo Stato russo; non è stato l’amor proprio nazionale ma la rinuncia al nazionalismo a dare a questo Stato, nelle riforme di Pietro il Grande, gli strumenti formativi necessari per assolvere i propri compiti storici. Possibile che nell’affrontare questo compito noi dobbiamo tradire questa benefica possibilità di scelta, rinunciare cioè al nazionalismo, e rimanere ancorati al terreno infido e sterile dell’amor proprio e della presunzione?
Noi crediamo che la Russia abbia nel mondo un compito religioso. Questo è il suo compito attuale, a cui è stata preparata sia nello sviluppo del suo ordinamento statale che in quello della sua coscienza spirituale; e se in queste funzioni preparatorie di pace c’è bisogno di un’azione morale che spinga alla rinuncia nazionale, tanto più questa azione sarà necessaria per portare a termine il nostro compito spirituale.
Da «Nacional’nyj vopros v Rossii» («La questione nazionale in Russia»), in O narodnosti i narodnych delach Rossii ( Sulla nazionalità e i problemi nazionali della Russia), 1884, t. V, pp. 30-31.
Sullo slavofilismo
La storia dello slavofilismo non è altro che il progressivo smascheramento di quella doppiezza interiore dei suoi princìpi, inconcilianti e inconciliabili, che fin dall’inizio era alla base di questo falso movimento. (…) Da una parte c’è la lotta contro il male effettivo della vita russa in nome delle idee europee e dall’altra c’è la non meno accesa lotta contro le redingote e i frac europei in nome dei cafetani asiatici.
(…) Io non metto affatto in dubbio la personale e sincera religiosità di questo o quel fautore dei «princìpi russi»; io ho chiara una cosa soltanto e cioè che all’interno delle idee slavofile non c’è nessun posto legittimo per la religione in quanto tale e che se per caso vi è entrata, è stato solo per equivoco e con un passaporto straniero. (…) Per gli slavofili l’ortodossia è un attributo della nazionalità russa; sarebbe quindi un’autentica e vera religione soltanto perché viene praticata dal popolo russo. (…)
Ivi, t. V, pp. 162-167.
Aleksandr S. PUŠKIN (1799-1837)
Simbolo della cultura russa e fondatore della moderna letteratura russa, Puškin rappresenta una figura di intellettuale moderno aperto a ogni forma di cultura, sia occidentale che orientale. Consapevole della limitata conoscenza della Russia da parte della cultura europea, cercò di motivare l’originalità della storia russa attraverso una serie di opere a carattere storico, sostenendo una «formula diversa» da quella applicata per la storia dell’Occidente cristiano. Rispondendo con questa lettera alle Lettres philosophiques di P.Ja. Čaadaev, apparse in francese nel 1836, Puškin dimostra come la storia della Russia, nell’indicare la volontà del suo popolo all’unità, sia stato un esempio al servizio dei grandi interessi dell’Europa.
Lettera a P. Ja. Čaadaev (19 ottobre 1836)
La ringrazio della pubblicazione che mi ha mandato. L’ho letta con molto piacere, anche se mi sono molto meravigliato che sia stata tradotta e pubblicata. La traduzione è buona: conserva tutta l’energia e l’immediatezza dell’originale. Per quanto riguarda il contenuto, lei sa perfettamente quanto io non sia d’accordo con lei. Non c’è dubbio che lo Scisma (la divisione delle Chiese) ci abbia separato dal resto dell’Europa e che noi non abbiamo preso parte a nessuno dei grandi avvenimenti che hanno sconvolto l’Europa, ma noi avevamo un destino tutto individuale. Questa è la Russia, questi i suoi immensi spazi che hanno ingoiato l’invasione mongola. I tartari non hanno osato oltrepassare i nostri confini occidentali e ci hanno lasciato nelle retrovie. Si sono ritirati verso i loro deserti e la civiltà cristiana si è salvata. Per raggiungere questo scopo, noi siamo stati costretti a vivere un’esperienza molto particolare che, pur confermando la nostra cristianità, ci ha tuttavia reso assolutamente estranei al mondo cristiano, tanto che con il nostro martirio l’Europa cattolica ha potuto svilupparsi con grande energia, completamente libera da ogni ostacolo. Lei sostiene che la fonte da cui abbiamo attinto il nostro cristianesimo era una fonte spuria, che Bisanzio era da disprezzare, che era disprezzata… Ah, amico mio, Gesù Cristo non era forse nato ebreo e Gerusalemme non era forse sulla bocca di tutti? Questo rende forse il Vangelo meno eccezionale? Dai greci noi abbiamo preso il Vangelo e le tradizioni ma non lo spirito infantile né il gusto astruso per le sottigliezze verbali. I costumi di Bisanzio non sono mai stati quelli di Kiev. La nostra gerarchia ecclesiastica, fino a Teofan, è stata degna di ogni rispetto, non si è mai macchiata di bassezze papiste, ma neanche si sarebbe mai divisa in nome di una riforma nel momento in cui l’umanità aveva più di tutto bisogno di unità.
Sono d’accordo con lei che ora il nostro livello spirituale è decaduto. Vuole conoscerne la ragione? È semplice: porta la barba e dunque non appartiene alla buona società. Per quanto riguarda la nostra assoluta nullità sul piano storico, non sono affatto d’accordo con lei. Secondo lei le guerre di Oleg e di Svjatoslav e perfino le guerre feudali non erano una testimonianza di vitalità, di quel fervore ardente, di quello spasmodico attivismo senza scopi precisi che caratterizza la fase giovanile di tutti i popoli? L’invasione tartara è stato un fenomeno triste e di portata straordinaria. Il risveglio della Russia, lo sviluppo delle sue potenzialità, la sua predisposizione all’unità (a un’unità russa, naturalmente), entrambi gli Ivan, il grande dramma che è iniziato a Uglič e si è concluso al monastero di Ipat’ev – come tutto questo può essere soltanto uno sbiadito e dimenticato sogno, come tutto questo può non essere storia? E Pietro il Grande allora, che da solo rappresenta la storia intera! E Caterina II, che ha portato la Russia alle soglie dell’Europa? E Alessandro, che ci ha portato fino a Parigi? Mettendosi una mano sul cuore, lei non crede che nell’attuale situazione della Russia vi sia qualcosa di veramente significativo, qualcosa che colpirà lo storico futuro? Lei pensa che costui ci metterà fuori dell’Europa? Benché io personalmente sia sinceramente legato al sovrano, non mi piace affatto ciò che mi circonda; come letterato non mi accettano, come persona vittima dei pregiudizi mi offendono in continuazione, ma giuro che per niente al mondo vorrei cambiare la mia patria, oppure avere una storia diversa da quella dei miei padri, da quella che Dio ci ha dato. (…)
Lev N. TOLSTOJ (1828-1910)
Tutta la filosofia di vita di Tolstoj e la sua teoria della «non resistenza al male» è stata ampiamente esaminata sia attraverso le sue opere narrative, sia attraverso i suoi saggi critici. A questo va aggiunta una sua particolare fede nella semplicità del popolo e del contadino russo, l’unico che avrebbe potuto realizzare sulla terra il «regno di Dio».
Il popolo russo e il potere
Il popolo russo ha sempre avuto nei confronti del potere un rapporto diverso da quello che hanno gli europei. Il popolo russo non ha mai partecipato al potere, né vi ha mai preso parte. Il popolo russo ha sempre visto il potere non come un bene a cui ogni uomo naturalmente tende, così come pensa la maggior parte degli europei, (…) ma come un male da cui l’uomo deve star lontano. (…) La ragione di questo atteggiamento, secondo me, sta nel fatto che il popolo russo, più degli altri popoli, conserva in sé un autentico cristianesimo, quale insegnamento di fratellanza, uguaglianza, armonia, amore, quell’idea cioè di cristianesimo che distingue tra il sottomettersi e l’obbedire alla violenza.
(…) A mio avviso tocca al popolo slavo, e in particolare al popolo russo, proprio in nome della sua spiritualità e della sua struttura economica predestinata a questo grande compito, risolvere il problema del grande peccato mondiale e questa soluzione segnerà un’epoca nella storia dell’umanità; secondo me il popolo russo non deve proletarizzarsi copiando gli altri popoli dell’Europa e dell’America ma deve invece risolvere all’interno della sua struttura il problema agrario, attraverso l’abolizione della proprietà terriera e deve indicare agli altri popoli la strada per raggiungere una vita equilibrata, libera e felice, che escluda ogni forma di violenza e di schiavitù industriale e capitalistica; esattamente in questo consiste la sua grande vocazione storica.
Da Velikij grech (Il grande peccato), 1905, p. 35.