La spedizione d’Egitto sotto gli ordini di Bonaparte di Leon Cogniet, ca. 1835. Museo del Louvre, Parigi. Raffigura Napoleone ed alcuni studiosi durante una spoliazione.
Con il termine “repatriation” si fa riferimento al fenomeno che consiste nella ricollocazione di un’opera nel proprio contesto originale, col fine di ricostruire la cultura e l’identità di un paese e del proprio popolo. I primi a manifestare un forte interesse a riguardo furono gli indiani d’America, dando vita al fenomeno dello ‘ Ius soli’ legato ai manufatti di valenza storico-culturale.
I Cavalli di San Marco
Negli anni antecedenti al Congresso di Vienna (1815), sotto il regime bonapartista, si verificarono una serie di trafugamenti di opere d’arte, prevalentemente nei paesi più sviluppati artisticamente quali Italia e Grecia.
Depredati durante il Sacco di Costantinopoli del 1204 e portatati in Italia, i Cavalli vennero a loro volta saccheggiati durante le spoliazioni napoleoniche (perpetrate per un ventennio, dalle campagne militari “Nabuliesche” sino al Congresso), per poi essere infine restituiti all’Italia proprio nel 1815 (un anno dopo la forzata abdicazione di Napoleone).
Ad oggi il gruppo scultoreo in bronzo realizzato da Lisippo, l’artista designato da Alessandro Magno per i suoi ritratti, è esposto in bella vista sulla basilica di San Marco a Venezia, seppur priva della quadriga originaria alla quale erano legati.

I Marmi del Partenone
Noti anche come marmi di Elgin, prendono il nome dal Conte di Elgin Thomas Bruce, il quale si rese noto per aver asportato gruppi scultorei, fregi e statue dall’acropoli dalla capitale greca a quella inglese; in particolar modo dal Partenone, ma parzialmente anche dall’Eretteo e dai Propilei.
L’espropriazione avvenne in un lasso di tempo compreso fra il 1801 e il 1812. Trasportando i simulacri via mare, non mancarono di certo inconvenienti: nel 1802 uno dei brigantini affondò mentre aveva a bordo diciassette casse di reperti. Il carico affondato verrà comunque recuperato poco dopo.
L’evento suscitò grande scandalo da parte della critica contemporanea. George “Lord” Byron, celebre poeta del secondo romanticismo britannico, parlò dell’avvenimento con grande sdegno paragonandolo al vandalismo e al saccheggio, arrivando ad invocare la dea Atena augurandosi che, con la sua ira vendicativa, potesse colpire l’Inghilterra.
«Quod non fecerunt Gothi/Hoc fecerunt Scoti» – “Quello che non avevano fatto i barbari, lo fecero gli scozzesi”. L’acrimonia verso il Conte di Elgin era tale che Byron incise questa frase sull’Eretteo cancellando il nome di Bruce.
La Grecia, fresca di indipendenza dall’Impero ottomano (1830), contestò con ferocia le azioni del Conte, esprimendo il loro disappunto nei confronti della rudimentalità delle tecniche impiegate e degli strumenti adoperati, rivendicando costantemente la proprietà intellettuale dei marmi.
La quasi totalità dell’opera omnia di Fidia, uno dei più grandi maestri e scultori dell’arte classica, è oggi conservata nella galleria neoclassica “Duveen” (British Museum) dedicata esclusivamente all’acropoli di Atene. Nei circa 300 piedi di galleria sono esposte 17 statue giunte dai frontoni, metope provenienti da fregi dorici e 75 metri (da un originale di 160 ca.) di fregio ionico interno.
Questo senza considerare cariatidi, triglifi e frammenti architettonici non provenienti dal Partenone bensì dall’Eretteo, dai propilei e dal tempio di Atena Nike (sempre situati nell’acropoli).

Gruppo scultoreo di Licinio Murena
Meno celebre, ma di analoga disamina, è il ritrovamento da parte di Lord Savile Lumley di un gruppo scultoreo risalente al I secolo a.c., in un terreno da lui acquistato sul Colle San Lorenzo, presso Lanuvio; una piccolissima cittadina sui Colli Albani, in provincia di Roma.
La maggior parte degli scavi indetti dal nobile inglese avvennero tra il 1884 e il 1892, alla base del tempio dedicato a Giunone Sospita, sicuramente l’elemento architettonico più celebre e maestoso dei Colli Romani, come testimoniava Cicerone.
I marmi vennero ben presto trafugati nella città originaria di Sir. Lunley, Leeds. Solo recentemente sono stati portati di nuovo a Roma, in occasione di una mostra molto suggestiva organizzata tramite accordi rapidi e risolutivi tra il museo della città di Leeds e il curatore e gestore del Museo Civico di Lanuvio, Luca Attenni.
Non è da sottovalutare inoltre il fondamentale apporto economico del MANN di Napoli che ha fornito casse e strutture espositive al Comune di Lanuvio permettendo la notevole riuscita della mostra inaugurata a Palazzo Colonna il 10 settembre 2023.
I fiori all’occhiello di questa esposizione sono senza dubbio il donario romano di influenza fortemente Lisippiana, possiamo asserirlo dato l’armamentario macedone, in particolare da un gruppo scultoreo bronzeo commissionato da Alessandro il Grande per la battaglia del Granico del 334 a.C. contro gli acerrimi nemici persiani.
Il donario comprende guerrieri (molti dei quali acefali) e torsi di cavalli in marmo pario di cui le parti aggettanti, come muso e zampe, sono ormai perdute. L’attuazione romana del I secolo avanti cristo dell’ellenismo, ci mostra come rispetto al periodo classico l’iconografia sia generalmente più tonica e prestante.

Conservazione o appropriazione?
Come molti di voi avranno notato le opere non si trovano nell’ambiente al quale spetterebbero di diritto.
Da secoli gli studiosi di museologia e critica dell’arte si domandano: è meglio lasciare un patrimonio culturale nel contesto originario, o strapparlo via dall’ambiente madre, conservandolo, restaurandolo ma rendendone così impossibile la fruibilità complessiva?